Definizione


"Dal verbo suchen (cercare) i Tedeschi fanno il participio presente, suchend, e lo usano sostantivato, der Suchende (colui che cerca), per designare quegli uomini che non s'accontentano della superficie delle cose, ma d'ogni aspetto della vita vogliono ragionando andare in fondo, e rendersi conto di se stessi, del mondo, dei rapporti che tra loro e il mondo intercorrono. Quel cercare che è già di per sè un trovare, come disse uno dei più illustri fra questi 'cercatori', e prescisamente sant'Agostino; quel cercare che è in sostanza vivere nello spirito."

Massimo Mila

(dalla nota introduttiva in Siddartha di Hermann Hesse)

venerdì 7 gennaio 2011

Hereafter, recensione.

Clint Eastwood alla regia è una sorpresa ormai felicemente consolidata. I suoi film connotati da uno stile fortemente intimista, pulito e rigoroso, sono sempre storie umane strettamente legate alla realtà. Il suo stile, decisamente sobrio, insieme alle storie rappresentate, quasi sempre drammi umani, fanno di Eastwood un autore cinematrografico con una poetica in pieno svluppo. Quest'anno, il maestro ci ha voluto regalare l'ennesima perla. Sto parlando ovviamente di Hereafter, nelle sale italiane in questi giorni. Il film tratta di tre vicende umane che si snodano e si intrecciano, attorno al tema dell'aldilà. George un sensitivo che ha abbandonato la sua natura di “medium”, lavorando in fabbrica, poiché decisamente stanco del sovrannaturale e deficiente di una vita pienamente sensoriale; Marcus un figlio di madre alcolizzata con un fratello gemello, che viene a perdere una persona a lui molto vicina e Marie, anchorwoman francese sopravvissuta ad uno tsnumani. I protagonisti seguono un succedersi degli eventi casuale ma che in fondo sembra essere frutto delle loro scelte e quindi in qualche modo governato da un disegno superiore che li porterà ad incontrarsi. E' interessante notare come la sensibilità cinematrografica di Eastwood, orientata comunque verso un realismo sentimentale sobrio e rigoroso(che non scade però, mai nel sentimentalismo o nel pietismo consolatorio), stavolta viri verso un tema, apparentemente irrazionale o sarebbe meglio dire, difficilmente avvicinabile quanto apparentemente incomprensibile (almeno per noi occidentali moderni) che è appunto il tema della morte fisica e di conseguenza dell'aldilà. Per tutte queste premesse, risulta davvero pregevole l'approccio ed il risultato che Eastwood ottiene. Il vecchio Clint non si lancia in facili ed appassionati sensazionalismi di parte affermando un sicuro “sì” di fronte alla dimensione dell'aldilà non facilmente sperimentabile a questo livello di coscienza, come non si lancia in superbi attacchi al “sovrannaturale” ed all'imponderabile con un altrettanto sciocco e superbo “no”. Eastwood preferisce aprire a possibilità, domande e ad un sanissimo beneficio del dubbio diretto probabilmente a tutti gli scettici, atei e razionalisti, sulla vita dopo la morte. Allo stesso tempo però non apre particolarmente alla prospettiva religiosa, che Eastwood sembra vedere nei suoi film come incapace di rispondere ai grandi temi della vita, o comunque inadatta anche solamente a consolare gli afflitti (si pensi allo sbrigativo e freddo funerale vissuto dal piccolo Marcus, o ai video di youtube che appaiono come risposte frettolose o persino minacciose di padri religiosi e di fanatici fondamentalisti). D'altronde lo scarso amore di Eastwood verso l'elemento consolatorio della religione devozionale, lo aveva già mostrato in Gran Torino, nel personaggio di Walt Kovalsky, quando incontrava il giovane sacerdote che tentava di parlargli dell'aldilà, definendolo come un “ventiseienne appena uscito dal seminario, imbottito di buone letture, che gode a stringere la mano ad anziane signore superstiziose”. Più che un attacco antireligioso o ateistico, il suo appariva come lo sfogo di un reduce di guerra, che giustamente non tollerava la predica sulla vita e quindi sulla morte, da chi, giovane e solo teoricamente esperto sulle tematiche ultraterrene, non poteva superbamente insegnargli qualcosa. A onor del vero in Gran Torino il personaggio di Walt incontrava infatti, anche lo sciamano della famiglia dei vicini, di etnia H'mong, il quale, dotato di possibilità divinatorie gli faceva una rivelazione che si scopriva poi corretta, nel corso del film. Eastwood quindi opta per una terza via, una via di stampo “laico” e scientifico. Eastwood infatti nel suo voler aprire al ragionevole dubbio di una vita nell'aldilà, non si sofferma sull'aspetto medianico, il quale riesce persino ad essere ineterpretato in maniera credibile e realistica da Matt Damon, che nel personaggio di George assume certamente un carattere autentico lontano dalle ciarlatanerie di molti altri medium presentati nel film. La medianità viene vista altresì come “maledizione e condanna” (oseremmo dire, correttamente) da chi per George non gode a trarne delittuosamente profitto e diventa addirittura un impedimento per una vita normale e soddisfacente. La medianità viene vista così come una semplice conseguenza di una malattia infantile che pare aver aperto delle porte percettive nel cervello di George rendendolo suo malgrado un “ponte” di collegamento con un mondo intermedio di spiriti, senza però avere una chiara comprensione, potremmo dire, della cosmogonia universale. George è semplicemente un mediatore fra mondi apparentemente non comunicanti. Questa visione ci sembra appunto credibile e sensata, in quanto da sempre nelle civiltà di stampo Tradizionale (ad esempio l'India antica ma forse ancora quella moderna) e quindi di elevato sviluppo spirituale, il medium viene visto nient'altro che come un poveretto che, disgraziatamente, per semplici doti naturali, ha la possibilità di fare da ponte con mondi spirituali, di cui però non conosce l'origine né la destinazione, divenendo senza un adeguato sviluppo spirituale (non essendo appunto un Maestro con piene possibilità sviluppate) un semplice ricettacolo di forze di altri mondi, spesso anche di natura oscura o se non altro pericolosa (o comunque di difficile discernimento). Solo nell'occidente odierno infatti la prospettiva spiritistica, scambiata dai moderni, (sempre più privi di quelle difese spirituali dovute all'abbandono della propria Tradizione se non spirituale, almeno religiosa) anziché apparire alla stregua di un pericoloso esperimento scientifico di comunicazione con forze sottili, comunque ancora periture e terrene in un certo qual modo, può apparire come affascinante o illuminante, anziché come qualcosa di incompreso e pericoloso da cui tenersi alla larga. A questo riguardo, sull'impossibilità di comunicare coi defunti, o comunque con l'illusione che gli spiriti degli stessi sia la loro “anima” dell'aldilà, si consiglia vivamente la lettura de “L'errore dello spiritismo” di Renè Guènòn. Potete trovarlo a questo link.
Tornando quindi al film, l'interessante figura di George non sembra essere la via di ricerca su cui Eastwood ha intenzione di calcare la mano, per quanto la figura di George appaia positiva poichè (per quanto combattuta sulla propria natura fra il dono e la condanna di una vita fuori dall'ordinario) è in grado di consolare veramente i rimasti nell'aldiquà tramite un ultimo contatto autentico con gli spiriti dei propri cari defunti. La via di mezzo ricercata da Eastwood appare nella scienza di frontiera, indagata da una dottoressa di una clinica sperimentale che ormai certa della sopravvivenza della personalità umana tramite un'esperienza extracorporea, decide di avviare uno studio scientifico su di essa, tramite un centro di ricerca vilipeso e snobbato. Ad essa si rivolge appunto l'anchorwoman parigina, uscita cambiata dall'esperienza di sospensione momentanea fra la vita e la morte in seguito allo Tsunami. Questa prospettiva, decisamente più in linea con la sensibilità di Eastwood, sembra essere la linea indagratice verso la quale il regista si rivolge, offrendola eventualmente, come unica risposta plausibile. D'altronde di fronte ad un medium che, giustamente, Eastwood intuisce, non può far altro che mediare fra i mondi, ma che rimane ignaro sui più grandi Sistemi dell'universo, oltre a offrire una consolazione autentica ed il beneficio del dubbio di fronte allo scettico moderno malato di progressismo e razionalismo che esclude a priori possibilità ultramondane, la possibilità di una scienza di frontiera appare come l'unica risposta credibile, per quanto il film come abbiamo ripetuto, si sforzi di aprire al dubbio più che affermare una sicura verità.
In ogni caso, questa pellicola sull'aldilà raccontata con sobrietà, rigore e diversi riferimenti all'attualità (le onde anomale sempre più frequenti pronte a sconvolgere l'illusoria e tracotante tranquillità borghese del moderno) ci appare come una salutare e rinfrescante doccia, di fronte a tanto sovrannaturale probabilmente anche vero, ma in grado di apparire falso poiché falsato da rappresentazioni in chiave semplicistica e sensazionalistica (oltre che eccessivamente sentimentale e pietistica) ma soprattutto di fronte all'imperante e tracotante volontà di potenza dell'uomo moderno occidentale, che giorno dopo giorno appare suo malgrado, forse, sempre meno convinto che la sua breve vita possa essere tutto ciò che esista, anziché una porzione infinitesimale, di un oceano eterno di rivelazioni a cui l'uomo è certamente destinato.




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