Dopo un anno di attesa, ecco finalmente nelle sale
cinematografiche: L’Uomo d’acciao (negli USA Man of Steel), il celebre reboot
della saga di Superman. L’attesissima pellicola, prodotta da Cristopher Nolan,
sceneggiata da David S. Goyer (con il contributo dello stesso Nolan a livello
di soggetto) è stata diretta da Zack Snyder, regista dei criticati ad un tempo
ed apprezzati ad un altro: 300 e Watchmen. Sono infatti proprio le critiche alternate ai grandi
apprezzamenti che stanno dividendo pubblico e riviste specializzate,
nell’analizzare e scomporre il film. Critiche, forse anche comprensibili, se ci
si ferma a pensare quanto il personaggio di Superman, il primo e più famoso supereroe, abbia segnato e continui a segnare indelebilmente l’immaginario
“pop” comune, risultando per tutti l’eroe per “eccellenza”.
D’altro canto invece, non si può non rilevare come anche la
critica, nell’analizzare e recensire questi cinefumetti (il gergo usato per
indicare gli adattamenti cinematografici dei supereroi di fumetti), diventi
sempre meno smaliziata e sempre più specializzata, al punto forse da perdere quella
tipica e bonaria indulgenza che si offre ai prodotti sempliciotti destinati ad
un pubblico infantile. Questa raggiunta consapevolezza è
infatti forse un bene, vista l’insistenza a cui ricorrono gli addetti ai lavori
nel mondo dei fumetti, per presentare al pubblico le proprie opere ormai da
decenni, non solo e non più come storie per "bambini". Questione che va avanti più o meno da quando i fumetti hanno cominciato a lottare per essere riconosciuti come
arte ufficiale. Ecco quindi ora il verificarsi dello stesso fenomeno per i fumetti approdati al
cinema. Dopo la trilogia de “Il Cavaliere Oscuro” di Cristopher Nolan, molte
cose sono cambiate e un nuovo approccio nel “Rinascimento” cinematografico dei
supereroi al cinema è stato definito grazie al cineasta britannico: quello
dello pseudo-realismo. Ed è infatti questo l’approccio a cui si stanno
rifacendo molti cinefumetti degli ultimi anni, dopo l’enorme successo di
pubblico e critica che ha riscosso l’opera di Nolan (basti pensare al reboot in
chiave drammatica di Sipder-man ad opera di Marc Webb) ivi compreso L’Uomo
d’Acciao. Mentre infatti la storica rivale Marvel, può avvalersi di una casa di
produzione propria: i Marvel Studios, e miete successi cinematografici uno dopo
l’altro (dopo comunque alcuni anni di rodaggio e successi alterni, in cui
ingenuamente, furono venduti i diritti di quasi tutti i personaggi a diverse
case di produzione, senza curarsi delle conseguenze) sposando in pieno la linea
fumettistica e leggera che ancora contraddistingue un certo modo di produrre e
girare i cinefumetti (ed avendo toccato l’apice di questo successo, col massimo
risultato, in The Avengers, terzo miglior incasso della storia del cinema.), la
rivale storica DC/Warner, continua sulla linea pseudo-realistica nolaniana,
affidando alle mani dell’autore inglese, il loro figlio più caro e
problematico: Superman.
La storia cinematografica di
Superman è infatti lunga. Inizia e si consuma in modo particolare fra il 1978 e
il 1987. Il primo film girato da Richard Donner con Superman interpretato da
Cristopher Reeve, segnerà l’immaginario del pubblico, al punto da risultare - fino almeno al primo
Batman di Tim Burton dell’89 - la pietra miliare di tutti i cinefumetti. Pur
risultando film dalla qualità e fortuna oscillante, i primi quattro Superman,
rimasero così tanto impressi a calce viva nell’immaginario dei fans, da
impedirne qualsiasi riscrittura o remake (se non addirittura reboot). Sarà solo
nel 2006, che la Warner
ci riproverà con il brillante regista degli X-Men, Bryan Singer e gli ottimi
Brandon Routh e Kevin Spacey rispettivamente nei ruoli di Superman e Lex
Luthor. Il suo Superman Returns, sarà un film decisamente buono, ma risulterà
un insuccesso al botteghino ed apprezzato solo da una nicchia di fans, forse perché
così legato ai precedenti film di Reeve (il film fu un remake/sequel) da
risultare quasi blasfemo l’accostamento ai precedenti, per quanto rispettoso fosse. A
nostro avviso invece, sarà proprio il non riuscire a reinventare Superman per
il terzo millennio, rimanendo ancorati ad un immaginario pop anni ’70/'80 la vera
sfortuna e insuccesso di Superman Returns. Sfortuna e insuccesso che sembrano
essere spazzati via finalmente da L’Uomo d’Acciaio.
Dopo il rilancio
infruttuoso di Superman Returns, la
Warner decide di giocarsi il tutto e per tutto fidandosi della
linea intimista e pseudo-realista di Cristopher Nolan, a cui viene dato in
mano il progetto dal punto di vista della produzione e scrittura. Viene scelto
così Zack Snyder come regista e si opta per un reboot totale della saga così
com’è stato per Batman (e non più un remake/sequel). L'allontanarsi dal vecchio immaginario creato da Donner è sicuramente un bene e
fa rifiatare il personaggio e la saga, che priva di una così pesante eredità
può reinventare la sua mitologia. Dalle prime immagini e dai primi trailer del
film, c’è tuttavia chi critica anche questo approccio pseudo-realista, dimostrando
quanto il legame con il precedente immaginario cinematografico, sia duro da
recidere. Molti infatti rivendicano gli aspetti più naiff e fiabeschi di
Superman, come tratti distintivi del personaggio, tali da impedirne una
rilettura pseudo-realistica. L’Uomo d’acciaio può dirsi un film completamente
riuscito, proprio perché riesce, prima di ogni altra cosa a reinventare
Superman mantenendolo fedele alle sue origini. Come metaforicamente nel film,
Pà Kent pone a Clark la sfida di chiedersi che tipo di uomo sarà da adulto
(ponendo al vaglio dello pseudo-realismo la questione della moralità “perfetta”
di Superman), così L’Uomo d’acciaio, deve rispondere alla domanda: “Nolan e
Snyder saranno in grado di ricreare la mitologia di Superman per il terzo
millennio?” Senza indugi o lungaggini
ulteriori, noi non abbiamo dubbi nel replicare a questa domanda, rispondendo
con un fermo: “Sì”. L’idea di affidare una produzione del genere a un autore e
non ad un produttore votato semplicemente al guadagno, è stata la vera scelta
vincente della Warner. Nolan è un regista/autore con la mania per i dettagli e con un idea di poetica autentica che attraversa il suo cinema. E’ anche un importante fautore della causa che
vede la libertà artistica dei registi minata dai produttori. Da regista
infatti, sa bene quanto sia difficile poter fare il “proprio” film, senza l’intrusione
invasiva dei produttori, ed è a tale causa che, votandosi, ha potuto fornire a
Zack Snyder i mezzi migliori per potersi esprimere sul suo Superman. L’Uomo d’acciaio infatti, sarà un
film, che nella sua estetica non avrebbe mai potuto essere girato da Nolan. Il
tratto mitteleuropeo, pulito e minimalista del regista britannico, non sarebbe
infatti stato adatto per rappresentare una storia che pesca direttamente dall’immaginario
Sci-fi. Nolan questo lo sapeva e lo ha sempre saputo, motivo per cui ha
accettato la produzione ma non la regia, affidandola al buon Snyder, il quale
ha fatto sapere di aver avuto la massima libertà, avendo ricevuto Nolan sul
set, non più di due volte. Zack Snyder, dal canto suo è un
regista di nuova generazione, proprio come Nolan e che a differenza del
britannico, forse deve mostrarci ancora il suo vero volto. Sicuramente, non si
può per ora, non notare un tratto distintivo dei suoi film. Da L’alba dei morti
viventi, a 300, a
Watchmen per finire con Suker Punch, il buon Snyder è regista dotato di
coraggio. Coraggio che dimostra sia quando mette in scena la controversa
graphic novel di Frank Miller: 300, inventando una nuova estetica che lascia a
bocca aperta, sia quando dimostra tutto il coraggio possibile andando fino in
fondo ad un altro controverso progetto come Watchmen, vale a dire la più
importante storia di supereroi della contemporaneità. Film che non sembra
essere mai stato abbastanza criticato e bistrattato ingiustamente, anche e specialmente dopo
il sonoro rifiuto di paternità da parte dell’autore Alan Moore. E’ chiaro che con un curriculum
del genere, Snyder non poteva che essere il candidato ideale, per il coraggioso
rilancio di Superman, icona pop che a qualsiasi tentativo di reinvenzione o di
semplice remake, pareva suscitare un vespaio di polemiche senza fine.
Una delle prime sfide che il film
supera e che costerà la delusione dei potenziali detrattori, sta nel dimostrare
come si può rinnovare pur restando fedeli alle origini. Il Superman de L’Uomo d’acciaio,
continua a rimanere il Superman che tutti conosciamo. Non è infatti il Superman
di una terra alternativa come nella graphic novel Superman: Earth One di J.M.Straczinsky e nemmeno l'ambiguo Hyperion di Supreme Power, figlio adottivo degli USA. Superman
rimane Superman, ciò che cambia è il mondo che lo circonda. Il mondo nel quale
si muove il Superman degli inizi (quello degli anni '30 per intenderci) è decisamente meno complesso di quello
attuale, o meglio, rappresentato in maniera decisamente meno complessa. Il
Superman di Nolan/Goyer/Snyder è un figlio di due mondi, un kryptoniano ed un
terrestre, testimonianza vivente di una rivoluzione esistenziale su scala
universale, punto cardine del destino di due razze ed essere che si confronta
con scelte morali difficili e tremende da cui dipende il destino dei molti,
prima ancora che la definizione della sua personalità. La sceneggiatura è
quindi estremamente concentrata su questi problemi, ed è così che per ovvie
ragioni.
Nel raccontare la storia dell'uomo dietro al costume Clark/Kal, prima
ancora che di Superman, molti clichè fumettistici vengono, se non spazzati via,
ridotti al minimo indispensabile (basti vedere ad esempio la scena finale del
film). Nell’attenzione al rispondere alle molte domande e quesiti etici, che il
personaggio di Kal-El/Superman offre, ci si sofferma anche e soprattutto sul
rapporto padre-figlio, che qui si ricollega al tema delle due nature del
personaggio, solo apparentemente in contrasto, così come gli insegnamenti dei rispettivi
padri, sembrano essere solo superficialmente opposti (sia Pà Kent che Jor-El
permettono a Clark/Kal di crescere come una persona migliore, seppur seguendo
metodi e strade diverse).
Superman non solo sarà sempre un
icona di speranza, ma in questo film lo vedremo spesso rappresentato secondo la
celebre allegoria messianica, che da sempre risulta una delle principali chiavi
di lettura del personaggio. In particolare da segnalare a riguardo una
interessante, seppur breve scena, in cui il sottotesto religioso appare più che
mai evidente.
In perfetta contrapposizione all'eroe, otteniamo un villain, scritto appositamente per essere funzionale alla storia
delle origini su Superman e già utilizzato in Superman II con Reeve, vale a
dire il Generale Zod. Accompagnato dalla bella e spietata Faora (che nel precedente
film portava il nome di Ursa) Zod, è insieme a Kal-El/Superman, il personaggio
più complesso e tridimensionale di tutta la pellicola. Anche qui il balsamo
dello pseudo-realismo, mostra i suoi miracolosi frutti. Allo sprecato Kevin
Spacey nel ruolo dello stra-abusato Lex Luthor in Superman Returns, si contrappone
finalmente un avversario vero, dotato di una psicologia profonda e complessa,
per niente caricaturale o fumettistica (nel senso più dispregiativo). Caricaturale
o fumettistica come il Lex Luthor genio del male e truffatore (interpretato da
Gene Hackman e poi ereditato da Kevin Spacey) a cui eravamo (erroneamente)
abituati ad associare i villains fumettistici.
Il Generale Zod è al pari di
Magneto, di Loki, di Ra's al Ghul, del Joker di Ledger e del Bane di Hardy, è un
personaggio che buca lo schermo al punto da diventare un icona. Un po’ come
Bane, Zod è un villain completo, che pone sfide e dilemmi a Superman sia dal
punto di vista fisico che psicologico, ed ha motivazioni per il suo agire,
chiare e molto ben definite. Sarà infatti proprio Zod a porre a Superman un
importante dilemma etico di impossibile risoluzione, verso la fine del film. Ed il bello di questo Superman è
proprio questo aspetto, rimanere colui che "fa la cosa giusta", fino a che le
circostanze impediscano una situazione priva di conflitti etici veri o di soluzioni
accomodanti. E’ la complessità della realtà
che irrompe a pieno titolo nelle storie a fumetti, ora sul grande schermo. Come
tutte le "realtà" che si rispettino non offre sconti né soluzioni facili, va
affrontata cercando in ogni caso di fare la cosa giusta. Non indichiamo
ovviamente quale sia questa pericolosa e conflittuale scelta che si ritroverà a
fare Kal-El/Superman, per non rovinare il film a nessuno, ma ci basti pensare
per similitudine alle sfide offerte dallo stesso Nolan al suo Batman, sfide in
cui spesso, non sempre tutti i personaggi uscivano illesi e senza ammaccature.
E’ un tipo di cinefumetto
insomma, di cui tutto può dirsi, meno che sia privo di coraggio. E’ lontano
dalle visioni accomodanti e semplicistiche dei buoni contrapposti ai cattivi,
dove l’eroe riesce in qualche modo a sopravvivere senza che nessuno o quasi, si
faccia male.
Su questo versante Snyder, libera
tutto il suo immaginario per far sì che l’estetica del film, rimanga un
esperienza indimenticabile, fondendosi però con il tono generale della
sceneggiatura. Quello che infatti a pochi decisamente piacerà sarà abituarsi all’idea di vedere
Superman, icona della speranza, muoversi in un mondo decisamente più drammatico
e problematico. La fotografia deprivata cromaticamente, rifletterà questa
sensazione generale tipica del nostro terzo millennio, proprio come si
percepiva nel Batman di Nolan. Anche l’ottimo costume di Superman, che
finalmente risulta un credibile abito cerimoniale alieno (e non una tutina
cucina dalla nonna) opta per una maggiore serietà, rappresentata dai colori
classici di Superman (rosso, blu e giallo) molto meno luminosi del solito. E’ così che mentre fotografia e
costumi, ci parlano del mondo ormai non più anni ’30 di questo Superman,
irrompe il grande apparato scenografico kryptoniano in tutto il suo splendore. In
un mix fra ambientazioni primitive/fantasy e tecnologiche/futuristiche, il
mondo di Krypton sembra finalmente avere un’identità precisa, collocandosi nell’immaginario
comune, come un mondo alieno tecnologicamente avanzato ma al crepuscolo della
propria esistenza. Non può quindi passare in secondo piano, l’apparato Sci-fi,
estremamente all’avanguardia, creato per rappresentare Krypton stessa. Le
astronavi dalla forma insettoide, fabbricate con leghe metalliche
incredibilmente scure, quasi da sembrare arrugginite, comunicano proprio la
decadenza della civiltà kryptoniana, giunta al proprio tramonto.
Ed è proprio in questo
crepuscolarismo, perfettamente in tema con il resto del film, che il nuovo
Superman, brillerà ancor di più come speranza per il resto del pianeta Terra, poiché,
la luce è vivida e brilla con forza maggiora laddove le tenebre sembrano
espandersi ovunque. Snyder però nel reinventare la mitologia “supermaniana” non
si ferma agli aspetti pro-filmici e sperimenta con coraggio anche e soprattutto
a livello filmico. Nell’accentuare l’idea di realismo, Snyder gira –
incredibile ma vero – gran parte di un film blockbuster con macchina da presa a
mano. L’idea che vuole dare è quella di un inquadratura sporca, nervosa e “reale”,
che appunto stia raccontando qualcosa di autentico, senza filtri di sorta. Questo
stile quasi documentaristico o amatoriale è certamente coraggioso e innovativo,
anche se, a volte persino invadente o un po’ fuori luogo. In questo notiamo
infatti l’abissale distanza fra il cinema di Nolan e quello di Snyder. Pur
assolutamente d’accordo a livello di intenti, Snyder è per definizione
eccessivo, ridondante, maestoso oltremisura, laddove il cinema-evento di Nolan,
è invece sobrio, pulito, decisamente più reale nel senso più autentico della parola, ma
non per questo meno colossale o meno emozionante. Snyder così come ama la messa
in scena spettacolare (basti pensare alle battaglie di 300), oseremmo dire,
barocca per definizione, abbandona i suoi slow-motion (visibilissimi sia in 300
che in Watchmen) per inquadrature veloci e fast-motion, che alternano la ruvida
ripresa a mano, per riprendere le scene di battaglia campali che ritroviamo nella seconda
parte del film. E’ proprio qui infatti che il film assume toni da
disaster-movie, al pari di altri grandi film del genere “apocalittico” come
Armageddon o The day after tomorrow.
D’altronde, seguendo il filone
pseudo-realista, se si deve mettere in scena in modo realistico una storia irreale, una
battaglia non può essere che grandiosa e colossale oltre ogni misura,
proprio come le battaglie extra-terrestri di Snyder effettivamente sono. L’apparato Sci-fi del film
è infatti uno dei fiori all’occhiello della pellicola, che a lungo sarà presa
come riferimento per ispirazioni varie di genere fantascientifico. La regia
invece, alternata fra inquadrature nervose e sporche, e fast-motion adrenalici,
alterna bene i due registri del film, soddisfatti entrambi in pieno, da un lato
nella sete di realismo, dall’altro in quella di fantasia e azione.
Un unico appunto ci sentiamo di
farlo però sulle riprese a mano, il senso sperimentale di cui è dotato Snyder,
deve però essere regolato e dominato dallo stesso regista, pena: la perdita
della giusta proporzione fra i vari aspetti del film. Abbiamo trovato
francamente un po’ fastidiosa la macchina a mano in alcune sequenze che tutto
sommato non la richiedevano ad oltranza. Un conto è riprendere Clark che parla
con il padre a Smallville, un conto è riprendere con senso di (pseudo)realismo,
Jor El che parla con il Consiglio di Krypton!
Snyder deve insomma fare
attenzione a non far si che il suo sperimentalismo e manierismo nolaniano si
trasformi in calligrafismo esibizionista tale da ofuscare la chiarezza del
film, anziché aumentarne la sofisticatezza. Perché è sofisticatezza quella di
cui stiamo parlando qui, ed è questo il cinema targato Nolan/Goyer/Snyder. Questo
non vuol dire contorsionismi mentali, perché Superman rimane una storia lineare
che parla di speranza, molto differente da quella di Batman, a detta sia di
Nolan che di Snyder. Ma per sofisticatezza intendiamo un cinema, che ama farsi
vedere e rivedere per cogliere ad ogni visione, (micro)aspetti e (macro)dettagli
che solo ad ulteriori ed approfondite visioni possiamo cogliere in pieno, addentrandoci sempre più nel
complesso e sofisticato mondo (ri)creato. Mondo in cui le origini dell'uomo dietro il mantello vengono narrate in maniera non lineare. La narrazione iniziale, montata alla "maniera" di Nolan, ricostruisce a ritroso l'infanzia-adolescenza di Clark attraverso numerosi flashback che si ricongiungono in maniera congeniale con il presente. La sensazione che ci trasmette è quella di trovarsi di fronte a delle origini da rimettere insieme, proprio come fece Nolan in Batman begins, nel raccontare la genesi dell'eroe dietro la maschera (e come d'altronde gran parte del cinema di Nolan è solito fare). Il montaggio a flashback è davvero l'unico vero elemento tecnico del film, che potremmo definire manieristico e mutuato dalla poetica di Nolan: la ricostruzione spezzettata e non lineare delle origini del personaggio principale.
Dulcis in fundo, le
intepretazioni degli attori, in quanto, non vi sarebbe Superman possibile,
senza adeguate performance attoriali dietro ad interpreti adatti al ruolo. La
scelta che a noi appare migliore in assoluto è quella di Henry Cavill, attore
esordiente già visto in alcune pellicole d’azione e non solo, in particolare
ricordato come Teseo nel (deludente) Immortals. Già destinato a diventare
Superman in precedenza, ma poi scartato da Singer per Brandon Routh, nel suo
Superman Returns, Cavill soprende per la conformazione mascellare e scultorea
da supereroe statunitense, su cui non vi sono altre parole da spendere.
L’interpretazione
è ottima, Cavill è un Clark giramondo ad un tempo, in cerca delle proprie
origini ed un individuo misterioso ed altruista ad un altro, che presto il
mondo riconoscerà come Superman. Cavill ci è parso molto dentro al ruolo e in
grado di esprimere con naturalezza l’idea di essere Superman. Il Superman di
Cavill è da segnalarsi inoltre, come il Superman più vicino all’ideale
fumettistico del personaggio, di sempre. Pochi immagineranno infatti che mentre
Reeve rimase per anni come l’unico Superman possibile (al punto da essere da
ispirazione grafica del personaggio per il disegnatore Gary Frank), fu
decisamente poco somigliante - almeno dal punto di vista fisico/muscolare - all’icona
fumettistica, da sempre ipertrofica come vuole la tradizione dei supereroi
statunitensi. Subito dopo a Cavill ci sentiamo di collocare Micheal Shannon, la
cui interpretazione, forse anche perché fuori dai toni, risulta quella in grado
di colpire maggiormente. Shannon è in grado di fare il cattivo ma nella maniera
giusta, quella che permette agli spettatori di provare empatia con il medesimo villain,
per quanto spietato o folle possa essere. Shannon in sostanza ci regala un
indimenticabile icona di villain fumettistico, destinata a salire nell’olimpo
supereroico cinematografico. Infine una menzione d’onore va a Russel Crowe e
Kevin Costner, attori di un’altra generazione, e destinati col tempo a divenire
le nuove “vecchie” glorie del nostro cinema. Entrambi assolutamente in ruolo
nei rispettivi personaggi e in grado, nelle non moltissime scene e situazioni
dedicate (in realtà Jor El ottiene molto più spazio che Pà Kent), di farci
sentire di fronte a uomini reali, sui quali vorremmo sapere sempre di più. Ottime
anche Amy Adams nel ruolo di Lois Lane e Antje Trau nel ruolo di Faora. La
prima quasi in secondo piano per motivazioni di trama, la seconda stupendamente
caratterizzata per essere la compagna di Zod. Chiudono il cerchio Diane Lane e
Laurence Fishburne, rispettivamente nei ruoli di Martha Kent e Perry White, personaggi meno
esplorati in questo film, ma che sicuramente verranno approfonditi nei prossimi
sequel, se e quando vi saranno.
Questo in sostanza è quello che a
noi è sembrato L’Uomo d’Acciaio. Un film maestoso, in cui realismo e
fantascienza si incontrano, fondendosi in un amalgama riuscito. Un film che fa
brillare la speranza di Superman, senza paura di sporcarlo o snaturarlo col
cinico mondo del terzo millennio. Un operazione difficile nel suo insieme e
rischiosissima, proprio perché Superman è un icona quasi religiosa della
cultura pop, talmente importante ormai, da essere cristallizzata in un ideale così perfetto, da essere
impossibile da realizzare cinematograficamente e quindi secondo i più: irripetibile e irriproducibile. Un film che andava fatto e che
era l’unico modo possibile, l’unica, sì, speranza di vedere finalmente il
supereroe più grande del novecento, tornare a volare. Il film sicuramente
dividerà, ma rimarrà tra quelli che saranno ricordati e resteranno da vedere,
sia nel bene che nel male, proprio come la trilogia de Il Cavaliere Oscuro. Trilogia
da cui però, L'Uomo d'acciaio è totalmente indipendente e autonomo,
pur sfruttando la stessa linea realizzativa. Molti, forse troppi, diranno che è
un film poco equilibrato, troppa filosofia nella prima parte e azione nella
seconda. Ci ricordano francamente le critiche che vennero fatte all’Hulk di Ang
Lee, altro cinefumetto autoriale, che nel duemilatre, divise la critica e
incassò poco al botteghino. Per noi quel film fu un vero capolavoro e come tutti
i capolavori infatti, spaccò la critica e divise il pubblico dei fans. Come
sempre accade le grandi opere dividono e fanno parlare di sé, solo quelle
inferiori e mediocri, piacciono, spesso, davvero a tutti. Ci auguriamo quindi,
che i contrastanti giudizi su L’Uomo d’Acciaio, ci confermino proprio questo,
il trovarci di fronte ad un capolavoro. Ma questo, solo il tempo potrà rivelarlo. Nel frattempo, si può godere
ancora di questo Superman più e più volte, sperando anche negli annunciati (nelle
intenzioni), ma non confermati (nelle dichiarazioni) sequel, proprio come fu (incrociando le dita)
per il primo e sottovalutato Batman di Cristopher Nolan.
Nessun commento:
Posta un commento